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Concorrenza sleale: quando l’ex dipendente sottrae clienti all’azienda

Quando un ex dipendente, socio o collaboratore dirotta i clienti della società per cui ha lavorato verso altre realtà concorrenti tramite procedure sleali e sfruttando conoscenze e competenze acquisite nel tempo tramite il precedente impiego, si parla di concorrenza sleale per sviamento della clientela.


La concorrenza sleale è disciplinata dall’art. 2598 (e seguenti) del Codice civile. La norma stabilisce che «compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente; 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda». La concorrenza sleale per sviamento di clientela, quindi, rientra nelle fattispecie delineate dal 3° comma dell’articolo.

L’insieme dei dati relativi ai clienti di un’impresa rappresenta un patrimonio aziendale dall’enorme valore economico. L’utilizzo delle liste clienti del precedente datore di lavoro per velocizzare l’accesso al mercato, quindi, costituisce concorrenza sleale, e il fatto che i dati in questione siano stati accessibili ai dipendenti o collaboratori nel corso del rapporto di lavoro non è rilevante ai fini dell’esclusione dell’illiceità della condotta. Questi ultimi, infatti, non possono utilizzare a favore di sé stessi o di terzi informazioni e dati che vanno al di là del loro bagaglio di conoscenze lavorative o professionali.

Chi subisce concorrenza sleale con sviamento di clientela può ricorrere al giudice e difendersi in due modi: nel caso in cui la concorrenza sia in atto, può chiederne l’immediata interruzione tramite un provvedimento d’urgenza; se invece l’attività risale al passato, ma ha comunque arrecato danni, può chiedere un risarcimento.

Affinché un giudice riconosca che un ex dipendente ha compiuto atti di concorrenza sleale per sviamento della clientela, tuttavia, è necessario provare che la perdita dei clienti sia stata effettivamente causata dal concorrente sleale. Inoltre è fondamentale poter dimostrare in sede di giudizio che gli atti di concorrenza sleale sono stati compiuti con dolo o con colpa perché, in questo caso, l’autore o gli autori saranno tenuti al risarcimento dei danni. Infine è necessario poter dimostrare la riduzione del fatturato e la sua connessione diretta con l’atto di sviamento della clientela.


La giurisprudenza è tornata più volte sull’argomento.


Con sentenza 11 febbraio – 14 giugno 2013 n. 14990, la Corte di Cassazione – Sezione civile ha deciso che il passaggio di un certo numero di dipendenti o collaboratori da un’azienda a un’altra concorrente non giustifica la richiesta di risarcimento del danno: è necessario provare che l’assunzione è avvenuta proprio per acquisire la clientela della prima azienda o comunque per arrecarle un danno.

Con l’ ordinanza n. 3865 del 17 febbraio 2020, la Cassazione Civile ha stabilito che, affinché sussistano atti di concorrenza sleale contrari a principi di correttezza professionale commessi per mezzo dello sviamento, è necessario che l’attività di “storno” della clientela sia stata fatta dal concorrente “con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non ipotizzando nell'autore l'intento di recare pregiudizio all'organizzazione e alla struttura produttiva del concorrente disgregando in modo traumatico l'efficienza dell'organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito”. Diventano quindi rilevanti ai fini del giudizio la quantità e la qualità del personale stornato, la posizione ricoperta e le modalità di passaggio dei dipendenti e collaboratori da un’impresa all'altra.

Il Consiglio di Stato sez. IV, con sentenza n. 1269 del 20 febbraio 2020, ha stabilito che la nozione di collegamento territoriale ricopre un ruolo fondamentale perché sussista lo sviamento della clientela. Deve infatti essere constatata una coincidenza totale o, almeno parziale, del bacino di clientela, tale da comportare un rilevante calo del volume d’affari.

Con sentenza n. 124 del 27 gennaio 2021, il Tribunale di Ancona ha deciso che, per la configurabilità dello sviamento della clientela, deve essere provata un’attiva sollecitazione a non avvalersi più dei servizi del concorrente. La slealtà della condotta concorrenziale, infatti, si concretizza in tentativi subdoli o denigratori per accaparrarsi la clientela con atteggiamenti o condotte contrarie alla professionalità e alla lealtà.

Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 12 luglio 2007, ha stabilito che costituisce concorrenza sleale per sviamento di clientela l’assunzione dell’ex dipendente di un’azienda concorrente per svolgere la stessa attività nella medesima area e ambito. In questo caso, inoltre, sia il nuovo datore di lavoro che l’ex dipendente concorrono al risarcimento del danno, poiché entrambi hanno violato il principio di non concorrenza.

Con sentenza n. 18772 del 12 luglio 2019, la Cassazione ha deciso che, affinché sussistano gli estremi di un atto di concorrenza sleale, è necessario che le informazioni acquisite o utilizzate costituiscano un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non segretati e protetti, che superino la capacità mnemonica e l'esperienza del singolo individuo e che configurino quindi una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo.

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